Fare la pace

Chi ce l’ha più grosso?

Io ovviamente! Risponderà chi legge.

Ed eccola lì la narrazione della guerra, impiantata nei geni dialogici delle comunità cosiddette civili.

Io non sono esperta in guerre mondiali. Ne ho a malapena sentito parlare dai miei nonni e dal mio amico Elvio esperto in materia.

Ma lavoro in educazione, strumento, io credo, di democrazia e dialogo.

A scuola, quando un bambino desidera il gioco di un altro e prova a strapparglielo dalle mani, gli educatori intervengono in due modi:

⁃ uno in diretta: “prova a chiederglielo, usa le parole. Ma è suo e potrebbe non volere che lo tocchi” proponendosi, lì dove e quando serve, come mediatore di parole e come spazio neutro di incontro.

⁃ un altro di contesto e sottosuolo: lavorano quotidianamente ad una educazione della cura, del dialogo non violento, della mediazione.

Insomma per scongiurare la guerra creano un sistema quotidiano rivolto al dialogo e nei momenti di conflitto, naturali e sani, “istituiscono un tavolo interculturale” per mediare, per favorire l’incontro. Nell’incontro ci si vede, c’è reciproco riconoscimento anche nelle differenze, si cresce, pur discutendo.

Non con l’obiettivo “peace and love” di essere tutti amici ma di essere tutti umani rivolti all democrazia. Diverso eh?

Chi “gioca alla guerra” si posiziona su una dinamica di potere. Io lotto per allargare le

Mie aree di dominio. Tu reagisci a questa lotta o soccombendo e ubbidendo alla mia supremazia o lottando per sopravvivere e magari vincere.

Ossia per dimostrare che ce l’hai più lungo: il coraggio, la forza, bhe quel che è…sempre di potere fallico si parla.

A scuola si gioca per finta alla guerra, come i tigrotti appena nati, per allenare e sperimentare i propri confini, la propria identità. Sempre di potere di parla, in questo senso, in questo caso, nel gioco, di potere sano fin dove l’obiettivo è allenarsi e non uccidere per davvero l’altro.

Chi è escluso dalla guerra attiva, ma presente come spettatore, può fare diverse scelte:

⁃ aggiungersi alla gara come alleato o come “terzo”

⁃ fischiettare amabilmente dagli spalti scommettendo su chi vince

⁃ offrire supporto tecnico a questo o quello. Il viagra della guerra: armi, strateghi, messaggeri, cavalli di prima razza.

⁃ offrirsi come luogo neutro di incontro, per l’intermediazione e il dialogo interculturale. Ricordate la maestra? “Non fate la guerra, usate le parole…” e mettere allora a disposizione esperti in mediazione, esperti in dialogo, in pace insomma.

Questa ultima possibilità peró, attenzione, avrà efficacia come proposta se, in tempi non sospetti e vicino alle situazioni conflittuali, in generale quindi, codesti signori neutri lo sono stati per davvero, lavorando sempre ad un contesto dialogante.

Io non sono nessuno per giudicare le scelte mondiali. Europee e americane.

Ma mi sembra che se fin qui abbiamo fischiettato amabilmente vedendo un despota crescere, senza intervenire e poi ora per mostrarci democratici inviamo armi a chi lo combatte …la risposta che possiamo aspettarci da lui è esattamente quella che sta attivando “siete brutti e cattivi e io vi sparo”

Che è un po’ quel che fanno i bambini abbandonati dal ruolo regolatore degli adulti da piccoli e che ad un certo punto, di solito in adolescenza, quando gli adulti si accorgono della dis-regolazione e provano ad intervenire, puntano i piedi e sparano armi di distruzione di massa. Della serie “non ci sei stato fin qui e adesso vuoi arginare una tragedia preventivata? Te la mostro io la guerra vera”.

Non so, possiamo gentilmente uscire dalla dinamica del chi ce l’ha più lungo?

Insomma è stato divertente vedervi giocare ai soldatini quando nessuno moriva, seduti lì ai vostri tavoli altisonanti.

Ma qui la guerra si sta facendo per davvero, ve ne siete accorti? E non si tratta di decidere a chi mandare cosa, ma di porsi come zona neutra in potenziale di sviluppo: arra transizionale, ossia favorente l’incontro.

Possibile?

Grazie.

Jessica

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