Zero-sei questo sconosciuto: atto secondo

Mi sono chiesta numerose volte se aveva senso scrivere un articolo sul percorso di questo famoso “zerosei” che si aggira, come un fantasma, per le vie impervie della legge.

Mi sono studiata la 107,
e il decreto attuativo del sistema zerosei n. 380, cercando di trovare dei punti dai quali partire per costruire percorsi di senso fattibili, realizzabili con le poche risorse che hanno i comuni, le scuole, i piccoli centri educativi dove mandare i bambini al nido sembra essere ancora un’elite.

Lì per lì mi sono preoccupata quando ho letto che sarebbe stato lo Stato a lanciare le linee guida nazionali per il curricolo del nido. Sono nata come educatrice e credo di avere in me una certa resistenza instillata dalla “nicchia”, all’insinuarsi dello Stato in ambienti così delicati…ma la verità è che le indicazioni nazionali per il curricolo dell’infanzia sono scritte bene, davvero bene

…è l’applicazione che fa acqua da tutte le parti.

Ho visto scuole dell’infanzia con la cattedra e i banchi disposti in fila a due a due che nemmeno alla scuola primaria si usa più,

scuole dell’infanzia proporre schede con la vivisezione della carpa d’acqua dolce, in zone di mare con il porto a pochi passi e nonni pescatori già dentro la scuola (ignorati ovviamente)…

schede di ogni genere e tipo, istruzione anzichè educazione,

prerequisiti alle invalsi piuttosto che promozione dello sviluppo naturale in zona prossimale…

Insomma ho riflettuto un attimo e mi sono detta che il problema non è lo Stato (non questa volta almeno) ma le prassi mantenute stabili e fedeli nei secoli da personale poco motivato e affatto formato (e non lo dico dando contro al personale)…e se qualcosa ho da rimproverare a questa nuova legge sono i famosi 500 euro lanciati dalla finestra al personale lasciandogli la responsabilità di formarsi…senza una linea comune, senza una selezione di qualità delle offerte formative, senza identificare, nei percorsi, una linea pedagogica riconoscibile e uniforme. Va benissimo la libertà d’insegnamento ma si dimenticano i bambini, si dimenticano ancora una volta le dinamiche dei gruppi di lavoro…si frantuma lo stile educativo e lo si appiattisce.

Si dimentica che anche il personale ha bisogno di riconoscersi, di avere dei riferimenti, di affidarsi quando ci sono delle difficoltà, di avere riferimenti teorici vicini al quotidiano…

Bellissima idea il bonus per acquistare libri, recarsi a teatro, visitare mostre….la cultura e l’educazione sono necessariamente intrecciate e si nutrono a vicenda ma questo non basta,

e ben venga l’istituzione del coordinamento pedagogico territoriale…abbiamo riferimenti importanti in Italia, da coordinatrice pedagogica (senza arte nè parte contrattuale) credo fortemente in questo ruolo ma reputo indispensabile

costruire equipe di coordinamento psicopedagogico capillari che riescano a raggiungere tutti gli istituti, che si formino insieme, che abbiano percorsi adeguati per sostenersi nella crescita ( e i 500 credetemi non bastano), che la formazione sia continua in itinere per tutti: per coordinatori (specifica) e per educatori ed insegnanti (insieme ai coordinatori).

Insisto sul coordinamento psicopedagogico non solo perchè la realtà in cui vivo mi sottolinea quotidianamente lo frastagliamento in questo ambito (nonostante si stia organizzando dal basso, con non poche fatiche, un nucleo operativo regionale) ma anche perchè in quanto membro del Gruppo Nazionale Nidi ed Infanzia mi accorgo che questa disomogenea presenza qualitativa di coordinatori e relativo riconoscimento sono problemi diffusi un pò in tutta Italia.

Le prassi operative sono dure a cambiare se non si prende insieme una linea comune sulla quale lavorare e ciò è possibile certamente grazie ad una formazione di qualità (scelta che non si può ragionevolmente lasciare in mano al singolo individuo) ma anche e soprattutto grazie alla presenza costante e importante di coordinatori pedagogici all’interno delle scuole: figure alle quali le insegnanti possano affidarsi, con le quali costruire insieme nuovi modi di stare insieme a scuola, con uno sguardo che è dentro le equipe di lavoro delle scuole ma anche fuori, che è con loro ma anche super partes, che indirizza, supervisiona ma che accompagna, pazienta, si fa ponte.

Mi sto dilungando…è vero.

Penso ai poli scolastici…e al loro potenziale…e mi domando se qualcuno abbia pensato di affiancare, all’illuminato ingegnere, coordinatori pedagogici e/o formatori in campo educativo che possano ammodellare le idee ingegneristiche ed archittetoniche con uno sguardo rivolto a chi, dentro a quelle mura, dovrà poi lavorare e giocare.

Cercando di accorciare la polemica…la legge ha dei buonissimi spunti. Dobbiamo ora aspettare di capire come si muoveranno le regioni (ho un pò paura lo confesso).

Cosa possiamo fare nel frattempo?

Rispondo con : avviare percorsi di riflessione.

Vi dirò che ci stiamo provando qui…gruppi di lavoro di intercollettivo complessi, densi, ricchi…dopo e solo dopo aver fatto un lungo percorso di formazione di quattro anni (che andrà avanti ancora).

Vi dirò che le educatrici e le insegnanti si sono messe in discussione e molto e che tra i tanti percorsi avviati ve ne posso raccontare uno che sta davvero funzionando.

Ma prima vorrei sottolineare che se non ci sono percorsi che unificano l’idea di educazione, di bambino, di autonomia e gioco difficilmente si potrà lavorare bene con i bambini, di qualunque età li pensiate.

La rivoluzione, presso il comune per il quale lavoro, è iniziata con la formazione, la quale non ci ha fornito soluzioni ma semmai domande, dubbi, messa in discussione passo passo sempre più profonda e densa. Il principale dubbio che ci ha insinuato è stata una domanda che si è aperta nelle nostre menti “Che tipo di bambino stiamo crescendo?”

Un bambino capace di scegliere individualmente quale strada percorrere perchè consapevole dei propri bisogni e desideri, in grado di muoversi nel proprio ambiente scolastico e nella propria città riconoscendo i tratti storici principali, le funzioni e i vari ruoli, consapevole di sè e rispettoso degli altri (leggendo il profilo dello studente è questa la descrizione che si evince!)  o un bambino ubbidiente, istruito ad eseguire i compiti, adattato alle regole sociali così bene da anticiparle, pulito, composto, silenzioso se non interrogato…un bambino che eccelle in invalsi ma ha difficoltà a contenere e/o riconoscere le proprie emozioni perchè trattenute troppo a lungo da diventare esplosive….un bambino tenuto seduto per ore a compilare schede in virtù di un addestramento alla scuola primaria, che vede foglie sempre uguali e stagioni preconfezionate su schede del “si è sempre fatto così” e si perde la natura, quella vera, lì fuori…?

Lo so…sono polemica, perdonatemi, parlo ad alta voce con il senno del poi e il senso di colpa anche…domandandomi quante volte ho privato un bambino della possibilità di fare esperienza autentica di se stesso e sperimentazione vera con il naturale ed il mondo reale.

Siamo diventati insegnanti protettivi più di noi stessi (schiacciati dalle normative e procedure amministrative) e delle ansie genitoriali più che dello sviluppo autentico? Mi rifiuto di dirlo e anche di crederlo…eppure…

La riflessione è iniziata così..

Che bambino abbiamo in mente? Cosa vogliamo ottenere da queste sue giornate a scuola?

E’ possibile unificare le prassi tra nido e infanzia?

Vi invito a parlarne insieme a Rimini, a Torino, Milano e Firenze:

https://percorsiformativi06.it/destrutturare-firenze-coordinatori/

Penso ad Ausbel e al concetto di apprendimento per scoperta e a Dewey e alla sua teorizzazione sullo stile educativo basato sulla ricerca, la sperimentazione attraverso l’indagine ipotetica per esperienza e verifica. Questo tipo di approcci ci permettono di avvicinarci a tutti i bambini. E quando dico tutti mi riferisco anche a quei bambini, accompagnati da insegnanti preparate ed attente, che hanno più difficoltà o disabilità.

Se consideriamo il bambino come fautore del proprio percorso di crescita in un rapporto di esplorazione con il mondo, sostenuto da educatori che predispongono materiali e spazi, allora possiamo pensare allo zero sei con facilità.

E veniamo allora all’esperienza di cui vi accennavo poco sopra:

immaginate una scuola dell’infanzia classica–> armadietti in ingresso, salone di accoglienza, sezioni organizzate per centri di interesse.

immaginate anche un raccordo–> due piccole stanze, luminose, intime ben organizzate.

Ora togliete tutto. Armadietti via, sezioni via, aprite le porte e…organizzate il salone in zone di interesse ad accesso libero, le sezioni in ampie sale laboratoriali mono stile, nelle varie aree togliete la maggior parte dei materiali strutturati e abbondate di materiali destrutturati, di recupero, accuratamente scelti, selezionati ed organizzati. E sedetevi a godervi lo spettacolo.

No. Non è affatto così semplice a dire la verità…ma è possibile. Ed è stato possibile grazie alla formazione, alla presenza del coordinamento pedagogico (che ha troppi servizi e poche pedagogiste) e un gruppo di lavoro affiatato e motivato, in grado di sorprendersi e di prendersi il rischio del cambiamento (che, sapete, è un rischio solo perchè apre altre domande e dialoghi da affrontare e la possibilità di dover dire “ci siamo sbagliate”…che quindi, rischio non è. Si chiama crescere, abitare il dubbio, osservare e verificare, mettersi professionalmente in gioco).

Quali sono i cardini dello zero sei quindi?

  • la disponibilità a mettersi in gioco (quello vero, come sanno fare i bambini e i professionisti in campo educativo)
  • la formazione continua in servizio, unanime e coesa
  • il coordinamento psicopedagogico ben distribuito, a copertura totale e abbondante: competente, formato, riconosciuto, in rete.

Avete notato che non ho accennato a soldi? Ne servono si…per la formazione e il personale…ma sarebbero ben investiti, e non lanciati dalla finestra a 1/10 della popolazione educativa (vi ricordo che ai 500 euro hanno accesso solo gli statali e che la scuola non è fatta solo da loro).

La legge c’è dunque, e non è così malfatta…solo che non ci offre delle prassi preconfezionate…dobbiamo costruirle.

Io partirei così:

  • istituire i coordinamenti scuola per scuola, rendendoli obbligatori non solo allo zero-sei, per poi arrivare a quelli territoriali-regionali. A stratificazione
  • formazione
  • lavoro di discussione e riflessione in gruppi di lavoro interscuola.

C’è tanto lavoro da fare sì ma è possibile, basta saper direzionare bene le risorse e le energie. Buon lavoro dunque alle Regioni!

Il 5 settembre 2019 presso Ancona parteciperò ad un convegno regionale proprio su questo tema.

E se vi va di approfondire insieme mi trovate qui : FORMAZIONE

Una risposta a "Zero-sei questo sconosciuto: atto secondo"

Add yours

Lascia un commento

Blog su WordPress.com.

Su ↑